Il primo vien giù a strapiombo con immane velocità, come se la passerotta della sua vita stesse sculettando con quella sua piumatura rosso fuoco, e rallenta il tempo utile per planare e fermarsi vicino alla prima mollica. La guarda schivo e diffidente, starà pensando qualcosa del tipo “e mò? che fo, me la mangio, non me la mangio? cip cip, cip cip! eppur di codesta visione mi si è riempito il pancino, fammi ingollare prima che non resti più nulla.”, ma ancora non ha smesso di pensare che già fa gargarismi con lievito e farina. Poi se ne scappa spiccando il volo, va via, se ne va lasciandomi qui solo a contare le molliche restanti.
Ma, sorpresa o non sorpresa, eccoli che ne arrivan più di uno, due, cinque! Virano con perfetta maestria verso il mio naso, ma non ci arrivano, mi prendon in giro, trivellano il cemento bagnato con trepide zampettate e scansando le (per loro enormi) pozzanghere, si ingollano di pane e felicità. Ed è lì, che mi accorgo, come il passero innamorato è andato a cantar, probabilmente, dalla sua amata e dai suoi amici delle molliche di pane che uno sciocco umano ha lanciato dalla finestra.
Sciocco, perché sorride trovando nei passeri quello che non trova negli esseri umani.